Mi piace definire il ruolo come un contenitore, che abbelliamo quotidianamente con frasi e pensieri che nutrono la struttura di questa scatola.
Negli anni, diventiamo così tanto servi di questa scatola, che arriviamo a pensare di non poter esistere in sua assenza.
Questa struttura è il risultato di tutto ciò che abbiamo assorbito negli anni e si discosta molto dal concetto di individualità e dal conoscere quindi, chi siamo oltre la.nostra scatola.
Cerchiamo continuamente definizioni di noi stessi e degli altri che vanno a nutrire l’immagine che abbiamo di noi stessi e degli altri, dimenticandoci che siamo degli esseri in continuo cambiamento.
Le sensazioni cambiano, le emozioni cambiano, possiamo cambiare i nostri pensieri e ciò che pensavamo di essere fino ad un secondo prima.
Come possiamo pensare di essere la definizione di un ruolo?
Lo stesso reagire davanti alle situazioni sempre nello stesso modo, presuppone la nostra mancanza di consapevolezza, perché ogni evento può essere affrontato con una nuova coscienza, sempre.
Dire, “io sono fatto cosi” è un grande limite che poniamo alla nostra crescita, che ci predisporrà a rimanere negli anni, sempre nello stesso range di possibilità.
La realtà esterna infatti, viene selezionata in relazione al tipo di frequenza che emettiamo a livello inconscio.
Più crediamo di essere qualcuno che in realtà si discosta dal momento presente in eterno mutamento e più incontreremo realtà in grado di portare in superficie ciò che tentiamo di nascondere a noi stessi.
L’altro incarna una parte di noi che teniamo abilmente a distanza nel momento in cui ci definiamo in un determinato modo.
Lo stesso vale quando ci definiamo “malati” di qualcosa. Non che si debba ignorare una problematica ma spesso, rimaniamo attaccati all’immagine di persone che soffrono di un sintomo e che questo inevitabilmente si manifesterà se faremo determinate cose.
Le idee preconcette che abbiamo di noi stessi e degli altri lavorano per confermare la realtà che abbiamo nella mente.
Ci ritroviamo allora, senza accorgercene, a recitare un ruolo e facciamo in modo che gli altri non si accorgano di cosa si nasconda dietro quella scatola: la nostra forza e fragilità, la nostra insicurezza, la vulnerabilità e la paura.
Recitiamo un ruolo perché abbiamo paura di non essere accettati per ciò che siamo. E per tanti di noi, non essere accettati equivale a non esistere.
Rabbia e amore, gioia e dolore, paura e coraggio, sicurezza e insicurezza, tutto vive dentro di noi e tutto può manifestarsi momento dopo momento. Mascherare gli aspetti che giudichiamo negativamente cercando a tutti i costi di mostrare agli altri un’immagine diversa dalla realtà è un modo per autorizzare l’altro a relazionarsi in modo falso con noi.
Se ci aspettiamo autenticità dall’altro dobbiamo imparare ad essere veri ed autentici prima di tutto con noi stessi.
Tutto è parte di tutto e tutto è parte dell’essere umano: l’accettazione dell’impermanenza e del cambiamento è alla base dell’amore verso se stessi.